Messaggio
per la 64ª Giornata Nazionale del Ringraziamento
9
novembre 2014
Benedire i frutti
della terra e nutrire il pianeta
«Tu fai crescere l’erba per il bestiame e le piante che l’uomo coltiva, per trarre cibo dalla terra, vino che allieta il cuore dell’uomo, olio che fa brillare il suo volto e pane che sostiene il suo cuore» (Sal 104, 14-15).
La
Giornata del Ringraziamento 2014
precede di alcuni mesi l’apertura di Expo
Milano 2015 dedicato a “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”, un tema di
particolare rilevanza per il nostro Paese e non solo.
Esso
invita a dedicare un’attenzione speciale al tema del cibo, quale dono di Dio per la vita della famiglia umana. Così, nel
ringraziare il Padre per i frutti della terra, ci rendiamo consapevoli di
coloro che patiscono la fame. Papa Francesco richiama spesso “la tragica
condizione nella quale vivono ancora milioni di affamati e malnutriti, tra i
quali moltissimi bambini”[1].
La fame è minaccia per molti dei poveri della terra, ma anche tremendo
interrogativo per l’indifferenza delle nazioni più ricche. Infatti, alla
sottonutrizione di alcuni, si affianca un dannoso eccesso di consumo di cibo da
parte di altri. È uno scandalo che contraddice drammaticamente quella destinazione universale dei beni della
terra richiamata – quasi cinquanta anni or sono – dal Concilio Vaticano II nella
Costituzione pastorale Gaudium et spes
(cf. n. 69). È una questione di giustizia, che pone gravi interrogativi in
merito al nostro rapporto con la terra e con il cibo.
In
questa Giornata del Ringraziamento guardiamo
dunque all’agricoltura, che – attraverso i suoi frutti – è fonte della vita.
La terra, il
lavoro, i frutti
Potremmo
muovere da un’immagine biblica molto
bella e dolce: quella della felicità dell’uomo che coltiva la terra, per poi
mangiarne i frutti nella pace, benedicendo il Creatore per i suoi doni. Già il
racconto della creazione in Gen 2
disegna, in effetti, quest’alleanza dell’uomo con la terra. Nel versetto 2,15, Adam è chiamato a coltivarla e a custodirla. Il testo ebraico rimanda ad una sorta di
servizio verso la terra, tramite la dignità del lavoro, che si fa subito anche
custodia, affinché essa a sua volta serva l’uomo, donandogli il cibo per la
vita. Ma il peccato spezza tale alleanza, associando il lavoro della terra al
peso di una fatica che appare insostenibile. Il sogno del Dio creatore resta invece
quello di una sorta di reciprocità: ad un lavoro umano rispettoso della terra
che si fa giardino, essa corrisponde con la generosa e vivificante produzione di
frutti.
Il
sistema agricolo contemporaneo appare
però spesso distante da tale immagine: la sua complessità esige considerazioni
ben più articolate. Infatti, nelle zone agricole di grande vastità, l’attività
tende spesso a coinvolgere sempre più reti di imprese e comporta l’uso di
tecniche anche complesse (si parla di “agricoltura industriale”). La finanza
poi, purtroppo, si comporta con il cibo come una pura merce, su cui scommettere
per trarne profitto, a prescindere dal destino di chi di esso vive. E sulla
terra si specula! La sua stessa disponibilità è a rischio: spesso essa è
destinata ad altri scopi o diviene oggetto di una lotta commerciale tra le
economie più forti. E non mancano le pressioni crescenti sul piano della
legalità: la salubrità dei prodotti è minacciata da abusi e forme di
inquinamento che talvolta neppure percepiamo.
Una situazione complessa, dunque, che mette a
rischio la capacità dell’agricoltura di garantire sicurezza alimentare, per
avere un cibo che possa nutrire gli abitanti del pianeta e che sia affidabile
per chi lo consuma. Come uscire da tale situazione? Come far sì che anche nella
complessità contemporanea trovi espressione la realtà costitutiva di
un’agricoltura che sia collaborazione all’azione del Dio provvidente, datore di
vita?
Prospettive
Forse
il primo dato da tenere presente è che anche il nostro rapporto con la terra è
un fatto culturale; come ogni realtà sociale, esso disegna modelli di
organizzazione della società in cui anche la dimensione tecnica esprime valori
e dà forma alla stessa relazione tra le persone. Si tratta, dunque, di educarci
a pensare l’agricoltura come spazio in cui la giusta ricerca della
remunerazione del lavoro si intrecci con la solidarietà, l’attenzione per i
poveri, la lotta contro lo spreco, con un’attiva custodia della terra.
Si
tratta però anche di operare per dar forma ad un sistema agricolo che dia corpo
a tali istanze, sviluppando e promuovendo un modello di produzione agricola che sia attento alla qualità e alla
salvaguardia dei terreni, in modo da garantire effettiva sostenibilità. La
terra, in altre parole, va custodita come un vero e proprio bene comune della famiglia umana, dato
per la vita di tutti. Essa deve mantenere come primaria la sua destinazione
fondamentale – quella di essere, appunto, fonte
di cibo per i suoi abitanti, facendo in modo che il rispetto e la ricerca
della qualità dei beni salvaguardi la capacità della terra stessa di produrre
per la generazione presente e per quelle future.
Occorre
presidiare il territorio contro il degrado e la cementificazione, che lo
rendono inospitale per la vita e sottraggono aree alla produzione di cibo. Occorrerebbe
pure evitare l’installazione di pannelli solari sul terreno, collocandoli
piuttosto sugli edifici. L’agricoltura poi non è solo produzione finalizzata a
nutrire la famiglia umana, ma anche custodia
del territorio, che lo cura e lo riqualifica. Quando esso è privato della
presenza del lavoro agricolo, è anche meno curato, più esposto a fenomeni di
erosione, tanto più in un tempo di mutamento climatico, segnato da eventi
meteorologici di vasta portata, che richiedono – insieme ad un’adeguata
impostazione etica e ad un necessario cambio culturale – “un grande impegno
politico-economico da parte della comunità internazionale”, attuando “una
risposta collettiva basata su quella cultura della solidarietà, dell’incontro e
del dialogo, che dovrebbe essere alla base delle normali interazioni
all’interno di ogni famiglia e che richiede la piena, responsabile e impegnata
collaborazione da parte di tutti, secondo le proprie possibilità e circostanze”[2].
Inoltre,
la stessa agricoltura è anche un sistema
di relazioni umane, che si sviluppano in stretto contatto con la terra ed i
suoi ritmi. Riteniamo doveroso ringraziare in profondità i contadini e tutti
coloro che, lavorando con amore e passione la terra, ci forniscono un cibo
buono e sicuro. Non dimentichiamo, in questo senso, il grande contributo
offerto dai lavoratori immigrati presenti sul nostro territorio. Da
sottolineare in particolare la grande rilevanza delle famiglie rurali, testimoni concrete di un’alleanza con la terra che
esse sono chiamate a rinnovare nelle pratiche produttive. Sono tante le imprese
che considerano tale rapporto come parte di una forma di esistenza che si
tramanda di padre in figlio, di madre in figlia, nella quale la continuità si
intreccia con l’innovazione. Come già ricordava Giovanni Paolo II in occasione
del Giubileo del mondo agricolo, occorre
educarci a coniugare tradizione ed
innovazione: questa è la strada per far fronte ai gravi problemi che
investono il mondo agricolo e più in generale l’intera società. Così egli affermava
incisivamente: “Camminate nel solco della vostra migliore tradizione, aprendovi
a tutti gli sviluppi significativi
dell’era tecnologica, ma conservando gelosamente i valori perenni che vi contraddistinguono. È questa la via per
dare anche al mondo agricolo un futuro di speranza”[3].
Papa Francesco – nella sua recente visita in Molise, parlando al mondo rurale –
ha chiesto di maturare vocazioni per la terra, onde essere contadini per vocazione e non per costrizione! Non solo, deve farci
riflettere un altro passaggio di quel discorso: “Il restare del contadino sulla terra non è rimanere fisso, è
fare un dialogo, un dialogo fecondo, un dialogo creativo. È il dialogo
dell’uomo con la sua terra che la fa fiorire, la fa diventare per tutti noi
feconda. Questo è importante”[4].
Consumatori
corresponsabili
La
custodia della terra per nutrire il pianeta è impresa che richiama anche la
responsabilità delle singole persone e delle famiglie: siamo consumatori, ma anche cittadini attivi e responsabili. Educarci
alla custodia della terra significa altresì adottare comportamenti e stili di
vita in cui l’uso del cibo e dei prodotti alimentari sia più attento e
lungimirante. Con le nostre scelte di acquisto del cibo possiamo offrire sostegno
alle produzioni locali. Spesso è il modo di acquistare di ognuno di noi che
decide il futuro di una piccola cooperativa locale, come a decidere del futuro
dei nostri territori è anche – in prospettiva nazionale – il dato in aumento
degli studenti che frequentano le scuole agrarie e il crescente dato di
occupazione in agricoltura. Sono segnali positivi che spingono a privilegiare
le coltivazioni biologiche e sostenibili, dedicando anche più attenzione a cosa
mangiamo. È saggezza privilegiare la qualità rispetto alla quantità, sapendo
che – nei prodotti a forte impatto ambientale e sociale – la qualità aiuta la sostenibilità.
Altrettanto
importante è agire nelle nostre famiglie, per ridurre ed eliminare lo spreco
alimentare, che nelle società agiate raggiunge livelli inaccettabili. Papa
Francesco ha più volte denunciato la
“cultura dello scarto”, cultura che “tende a diventare mentalità comune che
contagia tutti”, rendendoci “insensibili anche agli sprechi e agli scarti
alimentari, che sono ancora più deprecabili quando in ogni parte del mondo,
purtroppo, molte persone e famiglie soffrono fame e malnutrizione. [… ] Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo e
allo spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non siamo più in grado di
dare il giusto valore, che va ben al di là dei meri parametri economici. Ricordiamo bene però che il cibo che si
butta via è come se venisse rubato dalla mensa di chi è povero, di chi ha
fame!”[5].
Ecco
dunque alcune scelte che indichiamo alle nostre comunità, frutto della
benedizione del cibo:
·
coltivare
la terra in forme sostenibili, per nutrire il pianeta con cuore solidale;
·
adottare
comportamenti quotidiani basati sulla sobrietà e la salubrità nel consumo del
cibo;
·
soprattutto,
rendere grazie a Dio e ai fratelli umilmente (da humus) per il dono che
ogni giorno riceviamo dalla terra e dal lavoro dell’uomo, in modo tale da
tutelarli anche per le prossime generazioni.
Ci
sarà prezioso, nel compiere questo percorso di speranza, rileggere il piccolo
Libro di Rut. Così è scritto: “il tuo popolo sarà il
mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio” (Rt 1,16). È una storia di persone fragili
che – operando in solidarietà e condivisione – giungono a costruire vita buona,
basata sull’istituto della spigolatura, al fine di coniugare l’attenzione per
il povero e il contrasto allo spreco. Così, quella vicenda di dolore diventa
una storia di speranza, che riesce a trovare vie d’uscita anche dalle
situazioni difficili e disperate: “È nato un figlio a Noemi!”
(Rt 4, 17).
per i problemi sociali e il lavoro, la
giustizia e la pace
[1] Francesco,
Messaggio per la Giornata Mondiale
dell’Alimentazione, 16 ottobre 2013, n. 1.
[2] Intervento del Segretario di Stato, Card. Pietro Parolin, al Vertice
Onu sul clima, 23 settembre 2014.
[3] Giovanni
Paolo II, Discorso al Giubileo del
mondo agricolo, 11 novembre 2000, n. 9.
[4] Francesco,
Discorso all’incontro con il mondo del
lavoro e dell’industria, 5 luglio 2014.
[5] Id.,
Udienza generale, 5 giugno 2013.
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