martedì 7 aprile 2015

L'anniversario. 70 anni fa l' impiccagione del teologo luterano
BONHOEFFER 9 aprile 1945-2015. Il cristiano che sfidò Hitler
Davanti al mistero del male 
Le “Opere di Dietrich Bonhoeffer” sono tradotte in Italia da Queriniana, che ospita nel suo catalogo anche la fondamentale biografia di Eberhard Bethge:“Dietrich Bonhoeffer, teologo cristiano contemporaneo” (pagine 1076, euro 75). A un pubblico più vasto si rivolge il profilo di Fulvio Ferrario, “Bonhoeffer” (Carocci, pagine 264, euro 18). Arriva ora in libreria il volume di inediti “La fragilità del male” (Piemme, pagine 180, euro 17,50), dal quale anticipiamo un brano. In questa nuova antologia bonhoefferiana appunti, meditazioni, omelie, frammenti testimoniano come il problema del male sia stato un fulcro della ricerca intellettuale del teologo.

Dietrich Bonhoeffer
Durante la nostra vita non parliamo volentieri di vittoria: per noi è una parola troppo grande. Nel corso degli anni abbiamo subito troppe sconfitte. Troppi momenti di debolezza e colpe troppo gravi ce l’hanno preclusa. Tuttavia lo spirito che è dentro di noi vi anela, desidera il successo finale contro il male, contro il timore della morte. Nemmeno la parola di Dio ci promette che vinceremo il peccato e la morte, ma afferma con tutta la sua forza che qualcuno ha ottenuto questo risultato. Se lo considereremo nostro Signore, Egli vincerà anche noi. Non siamo noi a trionfare, ma Gesù. Noi oggi annunciamo e crediamo queste cose in contrasto con tutto quello che vediamo intorno, contro le tombe del nostro amore, contro la natura morente, contro tutto il dolore che la guerra ci sta portando.
Constatiamo che la morte si afferma, ma crediamo che il Messia l’abbia superata e lo testimoniamo. «La morte è stata inghiottita nella vittoria» (1Cor 15, 54). Egli è il vincitore. Resurrezione dei morti e vita eterna. La Sacra Scrittura riporta una sorta di canzone satirica dal tono trionfalistico: «Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?» (1Cor 15, 55). Si vantano la morte e il peccato, incutendo timore all’uomo, come se fossero loro i signori del mondo, ma è solo apparenza. È da tempo che hanno perduto il loro potere: è il Salvatore che glielo ha sottratto. Da allora nessun essere umano che rimanga accanto a Lui deve temere questi oscuri padroni. Il pungiglione con cui la morte ci colpisce non ha più nessun potere. Ma allora, ci chiediamo, perché nella nostra vita non sembra che sia davvero così, perché vediamo così pochi segni di questa vittoria? Perché il peccato e la morte incombono su di noi? È la stessa domanda che Dio ci pone: io ho fatto tutto questo per voi e voi vivete come se non fosse accaduto! Vi sottomettete alla paura, come se poteste ancora farlo! Perché la vittoria non è visibile nella vostra esistenza? Perché non volete credere che Cristo è il vero e unico vincitore. La mancanza di fede è causa della vostra sconfitta.
26 novembre 1939
«Ditegli che questa è la fine per me, ma anche l’inizio. Insieme a lui credo nel principio della nostra fratellanza universale cristiana che si eleva al di sopra di ogni interesse nazionale e credo che la nostra vittoria è certa...». Così Dietrich Bonhoeffer, l’8 aprile 1945, – giorno prima della sua impiccagione – nel messaggio affidato a un compagno di prigionia e destinato all’amico George Bell, vescovo anglicano di Chichester, conosciuto nel 1933. Era un saluto sprigionatosi di domenica, dal cuore di un uomo libero, calato nel mondo e nella signoria di Gesù Cristo, un cristiano consapevole di un destino di eternità. 

Era una domenica quando le pronunciò e Bonhoeffer era in viaggio verso il lager di Flossenbürg. L’indomani dopo l’alba fu subito giustiziato: nato a Breslavia, nel 1906, non aveva neanche quarant’anni. Ci fu anche un testimone oculare che raccontò quelle ultime sequenze di vita, settant’anni fa. Era il medico del campo. Uno che di lui non sapeva niente. E che ha lasciato scritto altre parole capaci di commuoverci: «Attraverso la porta semiaperta in una stanza delle baracche vidi il Pastore Bonhoeffer, prima di levarsi la sua divisa carceraria, inginocchiarsi sul pavimento per pregare Dio con fervore. Fui profondamente toccato dal modo in cui questo uomo amabile pregava, così devoto e sicuro che Dio udisse la sua preghiera». E ancora: «Sul posto dell’esecuzione, disse un’altra breve preghiera e quindi salì gli scalini verso il patibolo, coraggioso e composto. La sua morte seguì dopo pochi secondi. Nei quasi cinquant’anni di professione medica, non ho mai visto un uomo morire così totalmente sottomesso alla volontà di Dio».

Bonhoeffer, «teologo, cristiano, contemporaneo», per usare la sintesi del suo biografo Eberhard Berthge, certamente è stato uno dei rari uomini di Chiesa che – senza dimenticare una fugace simpatia nel 1920 per il nazionalismo che fu presto in grado di spazzare via–, ben presto scese direttamente nell’agone politico e nella resistenza al Male hitleriano. Bonhoeffer, però, è stato l’uomo che, soprattutto, ha motivato con il suo essere cristiano quelle sue scelte. Come aveva scritto nel 1934 a Valdemar Ammundsen, il vescovo danese direttore del Weltbund für internationale Freundschaftsarbeit der Kirchen (la Federazione mondiale per la promozione dell’amicizia internazionale fra le Chiese): «Qui, anche proprio nella nostra posizione verso lo Stato, si deve parlare in modo del tutto franco, per amore di Gesù Cristo e della causa ecumenica. Dev’essere chiaro – per quanto terribile sia – che di fronte a noi sta questa decisione: o nazionalsocialisti oppure cristiani». 

Da quella data alla morte sarebbero passati per Dietrich altri dodici anni costellati di scritti densi (molti quali resi pubblici solo recentemente), che rendono conto del suo impegno nel Kirchenkampf, nella lotta fra la Chiesa confessante antinazista e la Chiesa dei Deutsche Christen (i cristiano-tedeschi sostenitori del nazionalsocialismo), ma che pure offrono uno spaccato storico- politico e le direttrici di un dibattito teologico- culturale ben oltre la sua figura . Un periodo fitto di lettere, specie dall’inizio degli anni Quaranta, a testimoniare una vasta rete di interlocutori e di conoscenze, ma anche un’ampia irradiazione di pensiero sulla premessa di una profonda riflessione esistenziale. 

Ben documentata, ad esempio, nella silloge arrivata in libreria a cura di Alberto (Scritti scelti 1933-1945, Queriniana, pagine 920, euro 93) dedicata proprio all’“ultimo Bonhoeffer”, lavoro che conclude la serie dei dieci volumi delle Operemeritoriamente edita da Queriniana. Dove trovano spazio tanti elementi del suo impegno. La questione ecumenica, che assorbì Bonhoeffer sia sul piano del dialogo fra le Chiese sia su quello dell’elaborazione teologica. L’approfondimento biblico, centrale, dal periodo nel seminario clandestino di Finkenwalde a quello – diciotto mesi sino all’ottobre ’44 – nel carcere berlinese di Tegel, prima di essere internato a Buchenwald. E, ancora, la riflessione sull’etica sempre più urgente (con la scelta personale della cospirazione) e la questione della sequela di Cristo in una condizione storica intrisa di violenza. Oppure la riflessione sul significato di una fede personale declinata nel mondo divenuto adulto che ha eliminato l’ipotesi del «Dio tappabuchi». 

Pagine e pagine innervate da una fede spesa a dare concretezza alla Parola dentro la storia, a servire la verità che «rimane pur sempre il servizio più grande che si possa tributare all’amore nella comunità di Cristo». Quanto basta per spiegare il pastore teologo del confronto con la modernità, della fedeltà alla terra, dell’obbedienza al Vangelo, dellacaritas ancorata alla trascendenza, che si fa cospiratore, convinto che la Rivelazione comporta più una fede che una religione, e comunque esige una responsabilità personale nel farsi carico dei destini di ogni persona. Se necessario assumendo la Croce. Per gli altri. Per amore.
Marco Roncalli

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