venerdì 1 maggio 2015

Zamagni: «Nella Carta il "no" ai derivati sul cibo»
«Nutrire il pianeta, energia per la vita». A partire dal tema, dice l’economista Stefano Zamagni, Expo 2015 è davvero una straordinaria occasione per cambiare strada. E per cambiare strada bisogna prima di tutto riconoscere quella nuova. Che non batte più in economia percorsi classici, ma si avventura nella ridefinizione dello stesso rapporto fra l’uomo e le risorse naturali di cui dispone. A partire da quelle alimentari – dal cibo, quindi – assumendo piena consapevolezza dello "scandalo" rappresentato oggi dalla povertà.


Perché la fame nel mondo oggi è un "scandalo". Non è purtroppo una drammatica "costante economica" della Storia? E soprattutto: è uno scandalo che sancisce il fallimento del nostro modello economico o quanto meno del paradigma economico dominante?
La fame è uno "scandalo" ai giorni nostri perché, a differenza di quanto accadeva un tempo, da quasi 100 anni il livello di produzione del cibo è più che sufficiente a nutrire l’intera popolazione mondiale. Fino al 1920 non lo era. E questo sancisce il fallimento delle istituzioni economiche, prima che politiche, internazionali. Il fallimento di regole di mercato che producono un’eccedenza di cibo in una parte del mondo, circa il 32%, che va sprecata. Il problema non è quindi produrre di più, ma modificare le regole del gioco. E cambiare le istituzioni che le determinano. Se passasse invece l’idea che per sfamare i poveri bisogna produrre di più, si ricadrebbe allora nella trappola economicistica.


A quali regole fa riferimento, in particolare? In cosa consiste, concretamente la trappola economicistica?
Un esempio per tutti: fra le tre cause che hanno fatto lievitare i prezzi delle materie prime agricole, quando nel 2008 è scoppiata la grande crisi globale, c’è l’aumento esponenziale del volume di scambi sui mercati a termine ovvero la speculazione tramite i strumenti derivati. Con l’aumento dei prezzi, il cibo è diventato inaccessibile per milioni di persone.

La Carta di Milano, il documento simbolo dell’Expo, è sparito proprio il riferimento alla speculazione, che era contenuto invece nel Protocollo di Milano sull’alimentazione e la nutrizione, promosso dal Barilla centere for food and nutrition con la collaborazione della società civile, al quale la Carta di Milano si è ispirata… 
Diciamolo chiaramente: su quella Carta bisognerà scrivere chiaro e tondo che non si possono emettere derivati sui beni di prima necessità. Quella presentata in questi giorni è soltanto una prima bozza, che verrà sottoscritta dai partecipanti all’Expo e consegnata al segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon il 16 ottobre. Ho motivo di credere che ci sarà tutto il tempo per passare da obiettivi condivisibili ma generici, come quelli espressi nel primo paragrafo della bozza, a risposte concrete come il "no" chiaro alla speculazione. In questo processo di arricchimento della Carta, che ha un alto valore simbolico, il nostro Paese deve alzare la voce. E i cattolici farsi sentire.

Qual è allora la visione che sotto il profilo culturale si oppone all’economicismo?
Quella dell’Economia civile. Che affonda le sue radici nel cattolicesimo e che sfocia nella Dottrina sociale della Chiesa. Una visione che anzitutto considera le sfide economiche come un problema della famiglia umana nel suo complesso. Considera l’economia stessa al servizio della famiglia umana. Ma per un cambio di visione che scardini mappe cognitive consolidatesi in decenni, bisogna andare alla radice del paradigma classico e individuare l’errore di prospettiva in esso contenuto. Bisogna "liberarsi delle vecchie idee", per dirla con Keynes.


Quale errore?
Se stiamo sul piano dei principi di fondo, sul piano culturale e storico-economico, quell’errore di parallasse si chiama "principio della scarsità". L’economia classica prima e neo-classica poi, anche per trovare una risposta alternativa a quella marxiana, ha cercato soluzioni economiche per affrontare la scarsità di beni, in primis di cibo. Come? Aumentano l’efficienza e migliorando la produzione. Il che, per un periodo, ha avuto anche una certa funzione storica. Quello dell’homo oeconomicus che persegue anzitutto l’efficienza è diventato però con Jhon Stuart Mill il paradigma dominante. Peccato che ai giorni nostri il concetto di "scarsità" non sia più legata al cibo, ma all’attività finanziaria: i soldi non bastano mai. 

In che senso?
Il perseguimento dell’efficienza massima, dell’aumento dell’utile è appannaggio della finanza. Senza un limite superiore. Se guadagno cento, perché non guadagnare 200? E poi 300 e di più? Manca un punto di saturazione.

L’alternativa al principio di scarsità?
Quello della reciprocità. Dell’alleanza. A partire dall’alleanza uomo-natura.

Il Papa sta ultimando la prossima Enciclica dedicata proprio al tema del rapporto fra uomo e natura: pensa che toccherà anche questi temi?
Immagino che l’approccio di fondo potrebbe essere quello di superare proprio il paradigma della "scarsità". E partire dal concetto di "alleanza" per avere uno sguardo nuovo sui problemi. Se esci dall’ottica della scarsità di aria, della scarsità di cibo, della scarsità di beni, ti liberi dalla visione in cui la natura va sottomessa per estrarre risorse. E puoi trovare risposte nuove allo scandalo della povertà, certo, ma anche al cosiddetto "paradosso della felicità" in base al quale, ad un certo punto, nei Paesi ricchi, all’aumentare del reddito non corrisponde più un aumento del benessere. La sobrietà, ad esempio, diventa qual "tetto massimo" che manca.


In "Perché le nazioni falliscono" gli economisti Acemoglu e Robinson, parlano della differenza fra logiche "estrattive" e "inclusive" in quest’ottica. Ma ci sono altri economisti che sottolineano come anche un paradigma neo-classico di aumento dell’efficienza e di produzione abbia in realtà ridotto, a livello medio, e di molto, la disuguaglianza nel mondo.
Il problema non è la disuguaglianza, ma la povertà. Si continua a fare confusione sul termine disuguaglianza. Lo ha spiegato bene Branko Milanovic, già capo-economista della Banca mondiale: esistono almeno tre diversi tipi di disuguaglianza. Quella che Milanovic chiama "del primo tipo", la semplice distanza tra il Pil medio pro-capite dei diversi Paesi del mondo, la quale distanza, negli ultimi cinquant’anni, è mediamente calata. Ma c’è l’ineguaglianza "del secondo tipo", in cui il Pil è ponderato in rapporto alla popolazione, e quella "del terzo tipo", in cui vengono prese in considerazione le ineguaglianze tra i cittadini. Quest’ultima è la rappresentazione della disuguaglianza più accurata. La Carta di Milano, anche sotto il profilo culturale, può essere l’occasione per trovare risposte concrete a questo tipo di disuguaglianza. Che include i 900 milioni di poveri. Per chiedere anzitutto alle istituzioni di compiere una precisa scelta etico-politica: guardarli davvero.
Marco Girardo

Nessun commento:

Posta un commento